Un giorno una parola – Commento a Marco 10, 48-49
da RIFORMA.IT - 26/09/2017
Dio nostro, Dio grande, potente e
tremendo, che mantieni il patto e agisci con misericordia, non ti sembrino poca
cosa tutte queste afflizioni che sono piombate addosso a noi.
(Neemia 9, 32)
Bartimeo gridava: «Figlio di Davide, abbi
pietà di me!» Gesù, fermatosi, disse: «Chiamatelo!» E chiamarono il
cieco, dicendogli: «Coraggio, àlzati! Egli ti chiama».
(Marco 10,48-49)
Bartimeo è un povero mendicante a causa della
sua cecità ma, soprattutto, è un escluso dalla società perché è considerato un
essere improduttivo, nonché una persona che vive totalmente a spese delle altre
persone. Benché relegato ai margini della società, non si rassegna, come lo
dimostra il grido continuamente ripetuto con cui si rivolge a Gesù.
Quando si perde la parola rimane solo il
grido per esprimere il proprio dolore e la propria disperazione, ma anche la
rabbia e la disapprovazione contro un sistema ingiusto.
Oggi, al posto di Bartimeo ci sono gli
esclusi dalla nostra società che sono i poveri, migranti, disoccupati, insomma,
tutte le categorie di persone la cui voce rimane inascoltata. L’atteggiamento
di Gesù è un grande insegnamento per chiunque voglia seguirlo. Mentre molti
rimproveravano Bartimeo, cercando di zittirlo, Gesù, seppur risolutamente in
marcia verso Gerusalemme, dove sarà consegnato nelle mani dei suoi uccisori, lo
sente, si ferma, lo ascolta e lo guarisce. Nella vita frenetica della società
di oggi, corriamo il rischio di essere tutti concentrati sui problemi personali
e non ascoltare il grido del bisognoso né tantomeno fermarci. Il bisognoso
diventa allora un disturbatore o uno che crea problemi.
Gesù ci insegna che possiamo avere i nostri
problemi anche seri ma senza per questo ignorare il grido del nostro prossimo in
cerca d’aiuto. Per poter ascoltare l’altro come Dio ci ascolta, bisogna, in
primo luogo, imparare a fare un po’ di spazio dentro di se. Ciò non significa
ignorare i propri problemi, ma semplicemente metterli un po’ da parte, per
essere in grado di ascoltare Dio e il nostro prossimo, altrimenti c’è solo da
ascoltare se stessi. Secondariamente,
bisogna abbandonare la paura di non essere all’altezza della situazione; non ci
sono sempre risposte pronte e facili vie d’uscita, l’ascolto come segno d’attenzione
verso la sofferenza altrui è meglio dell’indifferenza.
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